A completamento del nostro ormai consueto reportage dal Festival International de la BD d’Angoulême (ben noto a lettori e operatori del settore fin dal 1994, grazie a Giorgio Zambotto e al suo sodale Salvatore Oliva scomparso nel luglio 2017) di FdC n.283 nelle migliori edicole e fumetterie (e qui ordinabile anche via PayPal), ecco un altro gustoso “extra” nel nostro sito web: un ulteriore punto di vista con l’esperienza di Fabiano Ambu e la piccola ma agguerrita It Comics in terra d’Oltralpe, che condivide alcune riflessioni molto interessanti non soltanto sull’evento (nato nel 1974 a imitazione del nostrano Salone Internazionale dei Comics, sorto a Bordighera nel 1965 e l’anno dopo traslocato a Lucca), ma anche sulle auspicabili ripercussioni nel panorama nostrano: ringraziamo Fabiano e buona lettura!
Quando mi è stato chiesto di documentare la mia esperienza francese come editore ho pensato di raccontare un sunto del diario di viaggio vantando i successi ottenuti da It Comics e dagli autori coinvolti. Poi ho pensato che la parte interessante di cui parlare, non è il raggiungimento dell’obiettivo, ma il percorso fatto e i motivi che hanno portato a questa scelta.
Se abbiamo deciso, come It Comics, di portare alcuni titoli in Francia, rinunciando di partecipare alla più grande manifestazione italiana dedicata al fumetto, la scelta diventa determinante più che la partecipazione stessa.
Ho esperienza di manifestazioni legate ai fumetti, ne ho girate tante in più di dieci anni di professione, oggi si parla di Artists Alley ma i primi a portare questo sistema americano in Italia siamo stati io, Marco Santucci e Alessandro Bocci, era la Lucca Comics & Games del 2010, un piccolo stand 3 x 3 metri che si chiamava appunto Artists Alley.
Nel 2012 sempre con Marco e Alessandro siamo stati i primi a fare il “Fuori Lucca”, abbiamo affittato uno spazio all’esterno dei padiglioni della manifestazione proponendo, oltre alla vendita, un’area concepita come una galleria d’arte, con i disegni originali incorniciati ed esposti al pubblico.
Quando tanti realizzavano sketchbook (raccolta di disegni preparatori di un autore) replicando il metodo americano, io realizzavo l’Ambook (un artbook concepito come un catalogo d’arte), oggi si chiamano quasi tutti artbook: coincidenza?
Ho deciso di trasformare la mia esperienza sulle autoproduzioni in It Comics, una “etichetta” editoriale (alcuni colleghi mi irridevano per l’utilizzo di questo termine e ora esistono altre etichette ben più prestigiose) che coinvolgeva un vasto numero di autori, dando così il via a numerose serie a fumetti. Recentemente ho trasformato It Comics in casa editrice, abbiamo aperto uno shop on line https://www.it-comics.com/shop, realizzato progetti a fumetti per privati e ridotto i progetti scegliendo professionisti seri in grado di rispettare le consegne.
È poi nato It Space, uno spazio che fosse studio professionale, redazione della casa editrice e luogo per proporre eventi legati al fumetto, oltre a creare progetti di gruppo e formare i professionisti di domani.
Questa lunga premessa era per introdurre che nel mio percorso professionale ho fatto delle scelte facendo un passo avanti e non limitandomi a seguire l’ombra di chi mi precedeva.
Quello che ho visto in quasi dieci anni di presenza a Lucca Comics & Games è stato un profondo recesso del fumetto come elemento fondante della manifestazione, seguito da un calo dell’interesse dei lettori verso questo linguaggio con una proposta editoriale sempre meno variegata.
Il fumetto, come tutta l’editoria, sta vivendo sulla sua pelle il degrado culturale che sta portando verso la decimazione dei lettori: in questi casi, l’alternativa più logica sarebbe sperimentare, osare, trovare nuove idee e magari nuovi autori e opere capaci di leggere il nostro tempo, cercando di catturare l’attenzione dei lettori. Invece la mia personale impressione è quella di una chiusura verso una proposta più tradizionale, che non scontenta ma nemmeno sorprende insieme a una ricerca spasmodica di fenomeni legati più alla moda e ai social che al creare un’identità e una cultura visiva e letteraria.
Questo evidente livellamento e in alcuni casi abbassamento qualitativo della produzione italiana, porta a un aumento d’importazione e una riduzione dell’innovazione e della produttività. Non sono un nazionalista, quindi ben vengano buoni titoli esteri per stimolare la nostra produzione: il problema è che le scelte editoriali ristagnano sui soliti titoli e autori che, in teoria, dovrebbero portare numeri di vendita (e a volte ci riescono) ma che lasciano poco spazio alla sperimentazione. Credo invece che il ruolo di un editore sia quello di cercare nuove strade, ogni tanto di investire su storie che possono essere rischiose, ma comunque di dover valutare, oltre l’importante aspetto economico, l’intento originale di questo mestiere che è la proposta culturale.
Da tutte queste considerazioni, It Comics ha scelto di presenziare al 46e Festival d’Angoulême per capire se i titoli realizzati potessero funzionare in un mercato editoriale dinamico e più incentrato sul valore autoriale che è quello francese.
Grazie all’aiuto di Jose Maniette, abbiamo tradotto tre nostre pubblicazioni – il mio Pop: Storia di un marinaio (divenuto Pop: Histoire d’un marin), Sladkiy di Vorticerosa e Testa o croce di Walter Trono (divenuto Pantapolis), abbiamo seguito tutte le procedure per la richiesta di uno spazio e contattato l’organizzazione per far presente la nostra proposta e le nostre esigenze, quello che abbiamo potuto vedere da vicino è la disponibilità, la tempestività e la volontà di trovare soluzioni alle nostre esigenze.
Il Festival d’Angoulême è la manifestazione in cui si percepisce il valore di essere un autore, un editore, un professionista. Mi spiace dirlo, ma questa linearità e serietà organizzativa non ci è stata riservata in alcuni contesti italiani.
Punto di forza della manifestazione di Angoulême è la pluralità di offerta che proviene da tutto il mondo: come It Comics eravamo ospiti del padiglione Le Nouveau Monde dove hanno lo stand gli editori che non sono “major” ma quelli che espongono i prodotti più diversificati, all’insegna della libertà d’espressione. Questa pluralità aiuta la contaminazione di generi, una maggior apertura verso la diversità di proposte e la possibilità di ispirazione a nuove idee e a modi di elaborare il fumetto.
È proprio nella contaminazione che nascono nuovi rapporti lavorativi e professionali che portano alla creazione di progetti e possibilità collaborative: l’intento non è soltanto quello di quantificare gli spazi ma l’obbiettivo è mettere in relazione operatori di settore.
Il motivo per cui un gruppo di autori s’imbarca un’impresa così grande per una piccola realtà editoriale, è perché qualcosa nel sistema italiano non va come dovrebbe andare, quando si vuole trasformare degli autori/artisti in impiegati o mestieranti, quando la possibilità di sopravvivere di questo mestiere viene a mancare, ci sono due modi di reagire: si può scegliere di adattarsi rischiando di soccombere, oppure fare l’artista a tutti gli effetti e osare.
La tecnica, lo stile, i lettori... sono tutti elementi fondamentali per il successo di un’opera, ma occorre guardare al mondo, avere una visione più ampia del foglio di carta, occorre essere dinamici. L’artista è sempre stato un avventuriero, quello che osservo oggi invece è una ricerca di stabilità in un mestiere che non è mai stato stabile, ma che soprattutto non lo sarà mai e presto ne avremo conferma.
Il bello dell’esperienza del Festival d’Angoulême è stato scoprire di essere un autore per quello che ho prodotto e non per quanto è grande la mia rete di conoscenze, il lettore non acquistava la mia opera per quello che dicevo o perché mi conosceva personalmente, visto che non sono francofono e non ho mai pubblicato in Francia, hanno scelto il mio lavoro e percepire questo un autore non è poco.
Quando mi chiedono di parlare dell’esperienza francese, quello che posso dire è che la Francia non è l’Eldorado dove tutti pubblicano se sanno fare discreti acquerelli: è un mercato, c’è un’offerta e una richiesta, occorre investire, occorre faticare.
Credo però che sia giunto il momento che tutti iniziamo a rischiare un po’ di più. Spero un giorno di seguire anche io le orme di qualcuno che proporrà percorsi meno individualisti, magari provando sulla sua pelle quell’adrenalina data dal saltare il burrone, magari superandolo o sfracellandosi al suolo. Il rischio c’è, ma questo è il bello dell’inconsapevolezza di essere artisti: non abbiamo nulla da perdere se non noi stessi.
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